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colapesce

Una delle più importanti e conosciute leggende che riguardano lo Stretto di Messina è senza dubbio quella di Colapesce. Già nell’antichità si narrava di un uomo dalle qualità fisiche non comuni, tale Cola o Nicola, nato e vissuto a Messina, più precisamente a Capo Peloro. Figlio di un pescatore di Punta Faro, Cola manifestò da sempre una irrefrenabile passione per il mare che diventò la sua casa e la sua piazza. Vi passava i giorni e le notti, avendo per amici i pesci che gli guizzavano intorno, e il suo rispetto per il mare lo portava a ributtare in acqua tutto ciò che veniva pescato dal padre, tanto che la madre esasperata dal questo comportamento un giorno gli lanciò una maledizione: "Possa diventare anche tu un pesce!". Fu così che gli spuntarono le pinne, le branchie e le squame, divenendo un pesce anche di fatto e chiamato da tutti Colapesce. Trascorreva le sue giornate in mare, sprofondando negli abissi in mezzo alle più svariate razze di pesci, sfruttava le sue capacità, nuotava per oltre 100 km, per disincagliare le reti dei pescatori, recuperare attrezzi del mestiere e per passare da una sponda all'altra dello Stretto portando messaggi. Al suo ritorno in superficie, narrava di favolosi mondi sommersi e delle bellezze delle profondità marine. La fama di Colapesce giunse fino all'imperatore Federico II (ma alcuni considerazioni storiche farebbero pensare a Ruggero II). Questi, in un viaggio a Messina nella primavera del 1221, volle conoscere il pescatore sia per metterlo alla prova con una gara con in palio il matrimonio con la propria figlia, che per saggiare la sua bravura e soddisfare la curiosità di conoscere l'ignoto delle profondità marine.
Così, Cola venne invitato a recuperare una coppa d’oro gettata in mare dall’imperatore. Quando risalì e
descrisse al re le meraviglie sommerse, quest’ultimo non contento, volendo mettere ancora alla prova l’abilità di Colapesce, gettò la sua corona in mare in un punto ancora più profondo dello Stretto. Colapesce si tuffò e riemerse dopo due giorni.  Narrò di essere passato sotto la Sicilia  e che la stessa poggiava su tre colonne: la prima rotta ma resistente, la seconda solida come granito, la terza era corrosa e scricchiolante. Il re desideroso di avere maggiori informazioni buttò nell'acqua un anello e invitò Colapesce ad andarlo a ripescare e a riferirgli cosa avesse visto. Il giovane anche se stanco accettò l’invito, così si tuffò senza tuttavia riemergere. Il re capì che Colapesce non sarebbe risalito mai più: era rimasto a sostenere la colonna corrosa che reggeva la città di Messina.

a cura di Fabrizio Mandanici - fabrizio@baiadigrotta.it

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